sabato 28 maggio 2011

Mago e pollivendolo per letizia (?) moratti

Vita, opere e imposizioni di mani di mario azzoni, il pranoterapeuta che dà consigli al sindaco. Una rete di società con sedi in Svizzera e nelle isole Marshall, e in città ha puntato su Benetton. La sua lista di appoggio al sindaco uscente ha speso più del Pd, ma si è fermata allo 0,2%
Nel suo studio di viale Montenero a Milano si affollano ogni giorno decine e decine di pazienti. Cercano una parola, uno sguardo, un gesto che li faccia stare meglio. La lista d’attesa è infinita, addirittura tre anni per un appuntamento, come si è sentito dire il cronista del Fatto. Per letizia moratti, però, le porte sono sempre aperte. Anzi, è lui, il pranoterapeuta mario azzoni che accorre a domicilio dal sindaco per consolarla e consigliarla nei momenti più duri. È successo lunedì 16 maggio, la sera della disfatta elettorale, quando Lady letizia non trovava la forza di commentare in pubblico la disfatta. E così è toccato ad azzoni farle coraggio per affrontare le telecamere.
Pranoterapeuta, allora. Ma non solo. Anche consulente, motivatore, guru, mago, guaritore. Se ne sentono tante su questo ex pollivendolo, muratore, tipografo di Lecco, che in 30 anni di carriera, adesso ne ha 50, è diventato il più ascoltato consigliere del primo cittadino di Milano. È un rapporto almeno ventennale, il loro. Una frequentazione assidua, che a quanto lasciano intendere i biografi di Azzoni, sarebbe condivisa anche con altri vip o presunti tali. La lista comprende paolo berlusconi, Maurizio Costanzo, Barbara D’Urso e anche Gianmarco Moratti, il marito petroliere di letizia. Sarà vero l’elenco? Oppure fa parte di una sapiente strategia di marketing che con l’andare del tempo ha moltiplicato la fama e il giro d’affari di questo controverso “uomo dei miracoli”? Azzoni è un tipo di cui si raccontano episodi sorprendenti (a dir poco) come la miracolosa “guarigione di una persona paralizzata agli arti inferiori”. È un pranoterapeuta che si dichiara in grado di diagnosticare un tumore osservando un indumento, che fa l’elenco dei malanni di un interlocutore mai visto prima semplicemente guardandolo, che è in grado di capire al primo sguardo se si trova di fronte a un ladro o a una persona onesta.

“Tutto vero”, sono pronti a giurare migliaia e migliaia di sostenitori sparsi nel Nord Italia e anche in Svizzera. E il sindaco moratti si fida a tal punto di azzoni, che nell’ottobre scorso lo ha nominato alla presidenza di Casa letizia, un’associazione che si presenta come “punto di ascolto” e uno spazio “civico” e ha sede allo stesso indirizzo del comitato elettorale della stessa moratti. Qui, al civico 24 di via Montebello, sono state decise le strategie della campagna per le elezioni comunali, qui spesso si svolgono le riunioni dei collaboratori più stretti del sindaco. Il tutto alla presenza del pranoterapeuta “municipale”.

L’impegno di azzoni – fanno sapere dal Comitato – è a titolo “gratuito e volontario”. Lo stesso azzoni però è anche il promotore della lista “Giovani per l’Expo! Insieme a letizia” che al primo turno delle elezioni ha racimolato un migliaio di voti in tutto (lo 0,2 per cento). Difficile definirlo un successo, soprattutto se si pensa che la lista giovanil-morattiana ha speso per la campagna elettorale la bellezza di 970 mila euro, il triplo del Pd.

Insomma, un disastro. azzoni però di questi tempi ha ben altro a cui pensare. letizia chiama e lui non può fare altro che rispondere, coinvolto come sempre in tutte le scelte che contano. Sempre più potente. Sempre più influente. È acqua passata, ormai, la denuncia dell’Associazione anti-plagio che nel lontano 1989 segnalava l’esercizio abusivo della professione medica, la circonvenzione di incapace, l’evasione fiscale, la raccolta di informazioni e dati sensibili sui pazienti utili a una “diagnosi” istantanea. Tutto archiviato.
Lo stesso azzoni del resto, anche sul suo sito Internet, avverte di non essere né medico né psicoterapeuta. Da sempre però sospetti e ambiguità circondano l’attività del consulente di Lady letizia. È vero, per esempio, che nella prima biografia a lui dedicata (nel 1982, quando aveva solo 32 anni!) azzoni viene accreditato di un non meglio precisato titolo accademico. In una seconda edizione questa citazione è stata eliminata.

Non è chiaro se il potere del guaritore sia reale o effetto di autosuggestione. In rete si leggono storie di segno opposto. Chi lo addita come ciarlatano e chi come un sant’uomo. Numerose testimonianze raccolte dal Fatto affermano che al primo appuntamento, quello della diagnosi a distanza e con l’imposizione delle mani, il cliente paga 150 euro e riceve regolare fattura. La terapia successiva consiste in un numero variabile di sedute infrasettimanali della durata di pochi secondi e prevede una “offerta libera” variabile nell’importo, ma mediamente di 5-10 euro. Contando che ogni giorno passano nello studio almeno 200 persone, a sera l’incasso può arrivare a superare 2.000 euro. Non c’è da sorprendersi, allora, se l’attivissimo Azzoni, che allo studio milanese ne affianca un altro a Como, fa capo un piccolo impero finanziario. Palazzi, terreni, negozi intestati a società, alcune amministrate da lui direttamente. Ma capita anche che la proprietà sia riconducibile a società straniere, con base in Svizzera o addirittura nelle remotissime Marshall Islands, un paradiso fiscale nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Carte alla mano si scopre che Azzoni ha scommesso su Benetton. Due società amministrate dal pranoterapeuta della Moratti gestiscono una decina di negozi con il marchio degli United Colors, quasi tutti a Milano e dintorni. Tra questi c’è anche il megastore in centro a Monza considerato uno dei più grandi d’Italia.

Il giro d’affari di questa rete commerciale sfiora i 10 milioni di euro e fa capo alla Ventiquattro Srl. Chi controlla questa azienda? Azzoni ne possiede il 10 per cento, il 50 per cento è intestato a tale Gianfranco Barbieri, nativo di Brescia, che ricorre più volte nel’organigramma societario del pranoterapeuta. Per scoprire chi è il proprietario del restante 40 per cento bisogna invece fare un salto (si fa per dire) alle Marshall, dove ha sede la Capgest, terzo e ultimo socio di Ventiquattro. E infine c’è la barca, uno yacht da 22 metri dove azzoni ospita spesso gli amici. L’imbarcazione, che costa più di 2 milioni, è stata presa in leasing dalla San Michele Arcangelo, società a cui risultano intestati numerosi immobili. Il consulente della Moratti però qui non compare. L’amministratore unico della San Michele è il già citato Barbieri. E il proprietario? Il capitale fa capo a una società svizzera con azioni al portatore, per di più amministrata da un fiduciario. Un doppio schermo a prova di curiosi.

da: www.ilfattoquotidiano.it

venerdì 27 maggio 2011

Borghezio Mladic, due simpatici amici.

L'europarlamentare della Lega Nord mario borghezio, amico fraterno di berlusconi, nonché membro della "Commissione per le libertà civili" del Parlamento Europeo è indignato per l'arresto del criminale di guerra ratko mladić: "Per me mladic è un patriota. Quelle che gli rivolgono sono accuse politiche...I Serbi avrebbero potuto fermare l’avanzata islamica in Europa, ma non li hanno lasciati fare (sic!!!!). E sto parlando di tutti i Serbi, compreso mladic. Io comunque andrò certamente a trovarlo, ovunque si troverà".
Ma chi è questo coraggioso difensore dell'occidente cristiano (secondo i parametri di borghezio)?
Riporto da Wikipedia:
"ratko mladić è un militare serbo accusato di genocidio, crimini contro l'umanità, violazione delle leggi di guerra nell'assedio di Sarajevo e nel massacro di Srebrenica, dal Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia.Il 24 aprile 1992 Mladić fu promosso tenente colonnello generale. Il 2 maggio dello stesso anno, un mese dopo la dichiarazione di indipendenza della Repubblica di Bosnia-Erzegovina, mladić e suoi ufficiali bloccarono la città di Sarajevo, sparando sul traffico che entrava e usciva dalla capitale bosniaca. Anche le forniture di acqua e di elettricità furono tagliate. Era l'inizio dell'Assedio di Sarajevo, considerato il più grande assedio della storia moderna.
Nei quattro anni che seguirono, la città fu sottoposta a brutali bombardamenti e la popolazione subì i ciechi attacchi dai cecchini. Il 9 maggio 1992 Mladić divenne vice-comandante del Distretto Militare dell'JNA, con sede a Sarajevo e, appena il giorno dopo, assunse il titolo di comandante del Distretto.
Il 12 maggio 1992 il parlamento serbo-bosniaco, per rispondere alla secessione proclamata della Bosnia, istituì l'Esercito della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, mladić fu promosso Capo di Stato Maggiore dell'esercito: posizione che mantenne fino al 1996. Il 24 giugno 1994 fu promosso al rango di Colonnello generale con 80.000 uomini sotto il suo comando.
Nei tre anni di guerra che seguirono, le truppe di mladić commisero diversi massacri contro i civili, stuprarono migliaia di donne musulmane (stupro etnico) e istituirono campi di concentramento. La stagione di violenze culminò nel massacro di Srebrenica, indicato dal mondo occidentale come un vero e proprio tentativo di genocidio".

Incarcerabile

martedì 24 maggio 2011

Assaggi di primizie sbilenche

Nella Repubblica.it del 19 maggio, sezione Rubriche, Carlo Galli espone l’etimologia della Parola sconfitta: “da sconfiggere, che deriva dal provenzale esconfire, a sua volta dal tardo latino exconficere: compiere definitivamente, consumare, finire). La situazione di chi è abbattuto, superato, vinto”. L’apparato erudito introduce, di fatto, la delibazione della sconfitta del berlusconismo condito di lega-bossismo. Delibazione è parola intraprendente, si è affacciata da sola, cioè senza essere evocata, alla nostra sorridente finestra, con fare civettuolo s’è offerta ai nostri tasti: eccomi! Sicuro di non poter essere imputato di stupro (non si sa mai, con i tempi che corrono!) accetto l’insinuante offerta: è forse meno, in rebus, di una delibazione il mini-saggio del Galli, intitolato Sconfitta? La facile risposta negativa schiumeggia giuliva fin dalle prime righe, un coltello che gira dentro la piaga dei non amabili avversari politici: “La sconfitta è il fallimento di un’azione dalla quale il soggetto si promette un successo, un guadagno, un beneficio, sia materiale sia psicologico o spirituale - in genere quell’incremento dell’io che è la vittoria. A seconda delle epoche, può essere quindi uno scacco del valore guerriero (nel mondo antico) oppure del calcolo economico (nel mondo moderno), oppure ancora dell’investimento su una determinata ipotesi politica (la sconfitta dei totalitarismi) o infine di un’intera esistenza (il paradigma è la radicale sconfitta di Edipo, ma anche le sventure di Giobbe, prima che Dio le faccia cessare). Può essere cioè l’esito di un errore di comportamento, lo smascheramento di un’illusione, ma può anche derivare dall’irrazionalità tragica del mondo, che non si lascia controllare e vincere, neppure dalle forze più potenti, dalle menti più brillanti, dalle migliori intenzioni, dall’agire più retto”. Ovviamente, nessuna di queste accezioni riguarda in toto la sconfitta qui in causa: nella quale non c’è traccia di quella variabile nobiltà o rispettabilità che si può trovare nelle versioni sopra convocate e in altre ad esse assimilabili: quella della poco santa alleanza Be-Bo, Berlusconi-Bossi rientra nel vastissimo calderone della forma più diffusa, “quella che deriva dalla superbia, da un distorto rapporto con la realtà, dall’estremismo che non conosce alcun limite e che viene quindi punito o con la sconfitta comica della rana, che si gonfia per essere grossa come il bue, e quindi scoppia per lo sforzo” (Fedro), o “con la tragica vendetta degli dèi per la tracotanza dell’uomo prometeico che, fidando nella propria fortuna e nei propri passati successi, non sa fermarsi e – presumendo di poter sfidare il cielo – viene accecato dalla divinità, che lo rende incapace di vedere il pericolo, destinandolo così alla sconfitta, tanto più rovinosa quanto più in alto era salito il superbo”.
L’asse Be-Bo e le sue rogne. Forse l’asse Be-Bo non merita neppure quest’ultima versione della sconfitta, ma certo è quella più vicina al napoleonismo mercantile del Be e al caporalismo territorialistico del Bo. Dopo una pausa di riflessione preparatoria il Be torna alla ribalta e rimastica il vocazionale ottimismo urbi et orbi. Ultimo (al momento) sbocco di tanto pugnace zelo è il sequestro di cinque canali televisivi (2 Rai e tre Mediaset) per inondarli della sua faccia e del suo verbo, cioè di due mummie che fingono movimento e sviluppo offrendo la medesima zuppa di formule, mimica e parole in libertà (d’insulto). Chi ha sperato che la figuraccia elettorale (che lo ha umiliato perfino nella sua roccaforte meneghina) potesse introdurre almeno tracce di ravvedimento nel guitto programmato geneticamente per l’enfasi fantasiosa e l’improntitudine ignara di rossore, be’ deve aver abbassato la vigilanza della memoria e la conseguente capacità di giudizio. Né si può gratificargli come accenno di novità quella scimmia di autoanalisi che gli fa confessare l’errore dei toni gridati e della continua aggressività gratuita, cioè fondata sull’invenzione e la finta informazione sul passato degli avversari: vedi caso Pisapia-Moratti. I cenni di autoanalisi del Demagogo sono evanescenze presto sommerse dal fatale ritorno del suo peggio: eccolo, infatti, di nuovo in campo a sfornare iperboli dissennate: su Milano a rischio di orde comuniste, o (chissà se peggio o uguale fato) di fanatiche moschee, o ancora perfino di marea zingaresca. Anzi, le tre sciagure non si escluderebbero a vicenda!
Donne in carriera. Lei, la Moratti, almeno, riconosce esplicitamente di avere “sbagliato i toni della campagna elettorale”, e diventa guardinga in vista del ballottaggio: ha capito che l’avversario non è da prendere sottogamba, e il ravvedimento viene suggellato da una fresca stretta di mano con l’avversario calunniato. Al contrario di lei, la Santanchè non trova nulla da ridire sulla propria aggressività erga omnes, s’intende, un omnes di avversari. Intervistata, spara pari pari: “Sono una pasionaria. Non mi pento degli attacchi”. Lei una delle cause del flop elettorale Pdl (e del magico exploit di Fassino)? Chi l’accusa di questo sgorbio merita tutto il suo blaterante disprezzo. Le rivendicazioni della Daniela nazionale ignorano, ovviamente, quel limite di irrorazione corticale di cui soffre il suo vispo cervellino di pappagallina rimbalzante.
Sondaggi. Un noto tecnico di sondaggi, Renato Mannheimer, invece, trova nella sua indagine demoscopica, una risposta plausibile: “Le stime dei flussi elettorali rivelano che a decidere il voto di Milano è stato soprattutto il calo degli elettori del Pdl: circa 14 mila aventi diritto. E un altro dato rilevante riguarda gli indecisi”. Il 13% dei milanesi decise “cosa votare soltanto nell’ultima settimana”, dopo aver valutato “i diversi messaggi” elettorali. I due dati, tuttavia, convergono nel deporre contro la fiducia cieca al verbo berlusconico. Analizzando, tra le altre cose, la sconfitta Be-Bo, Eugenio Scalfari, nel suo tradizionale maxi-editoriale della domenica, ritiene di poter “decidere” per l’eclisse irreversibile del berlusconismo di massa e per l’altrettanto garantito disincanto delle legioni leghiste dal già iper-duro Bossi d’epoca, oggi piuttosto insicuro e barcollante fra spinte diverse e conseguenti sortite. Eccone un paio di capoversi. “L’invasione televisiva di Berlusconi è un fatto vergognoso che si ripresenta ad ogni campagna elettorale, alla faccia della ‘par condicio’ dietro la quale si riparano i berluschini. La novità di questa volta consiste – per quanto possiamo cogliere dalle prime reazioni del pubblico -- nell’inefficacia del messaggio berlusconiano: è passato come acqua sul vetro. Se quello è lo strumento per rimontare la sconfitta subita dal centrodestra nel primo turno elettorale, tutto porta a ritenere che il risultato dei ballottaggi confermerà che ‘il tappo è saltato’ e la fascinazione mediatica del Cavaliere di Arcore è ormai diventata una logora liturgia che non riesce più a sedurre i fedeli”. Per quanto riguarda la Lega, altrettanto colpita da questo primo turno elettorale, più di una domanda incalza l’analista: “Come si spiega questo fenomeno del tutto inatteso? Dipende da un parziale disimpegno di Bossi e dei suoi colonnelli? Da errori commessi soprattutto nella politica dell’immigrazione? Oppure anche nella Lega, come nel Pdl, da una crisi del carisma del leader? Anche per la Lega il tappo di bottiglia è saltato?” Sull’“importanza capitale per l’intera situazione politica” delle “risposte a queste domande” nessun dubbio. La Lega è, sì, soltanto un partito territoriale, “che detiene però la golden share del governo nazionale”. Bossi aveva sperato in un travaso di voti “nordisti” dal Pdl alla Lega: la frustrazione del calcolo rimette in gioco l’intera prospettiva politica Be-Bo “e dunque quella nazionale” (L’estremista Golia e il David moderato, la Repubblica, 22 Maggio).
Battute storiche. Se un articolo-sfogo deve assumere un sia pur minimo potenziale clinico-terapeutico sarà il caso di concedersi la degustazione di qualche battuta dei paladini Be-Bo destinata alla storia (della comicità involontaria). Sul binomio d’occasione Milano-Napoli come specimen dell’intero Stivale, ecco una cornata del bufalo stanco arcoriano: “Non possiamo immaginare che un Paese come l’Italia si faccia governare dai Vendola, dai Grillo, dai Di Pietro”. Che sono, giusto, le figure degne di più limpido rispetto (come de Magistris, Fassino, Pisapia, e tanti altri della cordata Pd e alleati). Il che spiega ad abundatiam il cupo vade retro del loro opposto genetico e politico, appunto il Berlù d’annata e di sempre. Il quale, pulito com’è (in tema di verità) sbrodola nelle collaudate balle per iloti: “Avevamo risolto il problema dei rifiuti in 58 giorni, ma dal Comune non è stato fatto nulla”. Quel “risolto” è un falso palmare, perché ripulire il centro e snobbare le periferie non significa risolvere. Ma, per onestà, ci duole dovere riconoscere (caso ultra-raro nelle autocelebrazioni del Cavaliere) un punto di verità in quella dichiarazione: l’accusa alla signora prima responsabile del Comune, che non è un fulgido oro nel medagliere del Pd, come non lo è quel Bassolino due volte governatore inerte della Regione, una primatista in fatto di malavita pervasiva in sostanziale libertà di nuocere e comandare. Milano, la metropoli modello, dalla generosa Moratti miliardaria al “casto Giuseppe”, Roberto Formigoni, fedeltà di ciellino divisa fra Cristo e Berlù, garante impavido (cioè, spudorato) del primato diffusivo delle scuole private cattoliche, non può e non deve diventare la “Stalingrado d’Italia”, e peggio. Testuale: “Impediremo che Milano diventi la Stalingrado che vorrebbe la sinistra estrema se diventasse sindaco Giuliano Pisapia”. La sconfitta del primo turno? Colpa dell’astensionismo, basterà convincere e portare al seggio quegli sfiduciati e il “miracolo a Milano” (ben più grande dell’omonimo film) sarà realtà. Lui ne è convinto. “Sono convinto che i milanesi che si sono astenuti dal voto al primo turno, visti i risultati, non vorranno consegnare la loro città a chi vorrebbe farla diventare, alla vigilia dell’Expo 2015, una città islamica, una zingaropoli piena di campi rom, una città che aumenta le tasse”. E via con Napoli: esposta a un rischio di barbarie non minore, la capitale del Sud rischia di cadere nelle artigliate zampe di un candidato-monstre, nientedimeno che il feroce Saladino, pardon il famigerato Luigi De Magistris, terrore degli onesti: “A Napoli, -- gorgheggia – siamo in vantaggio, e ci dobbiamo confrontare con la sinistra estrema che ha portato alla ribalta un magistrato d’assalto, uno dei tanti magistrati giustizialisti entrati in politica con la sinistra”. Finita la presentazione del mostro? Macché: il bello deve ancora venire, o piuttosto, il meglio dopo il bello. Eccolo: “Luigi De Magistris rappresenta una semplice copertura del vecchio sistema di potere, è appoggiato dagli stessi partiti che hanno malgovernato per 18 anni e che hanno creato questa situazione disastrosa”. Viceversa, se il tristo figuro del continuum verrà battuto, dal candidato giusto, Lettieri (“Carneade, chi è costui?”), Napoli, a dir poco, risorgerà: pulizia ordine epurazione della camorra e quant’altro scenderà dal cielo come una manna di benedizione. Ecco le alate parole: “si troverà una soluzione al dramma dei rifiuti e la soluzione sta nella raccolta differenziata e nella costruzione dei termovalorizzatori che a sinistra rifiutano [vero? falso?]. Noi vogliamo che Napoli torni essere una capitale europea, accogliente, vivibile, sicura e dove i giovani possano trovare lavoro”. Infine, a scanso di equivoci, rassicura che, dovessero andare male le cose, nessuna conseguenza ne verrebbe per la maggioranza e il governo (“no, assolutamente no”), che gode buona salute, è sempre coeso: “Il vero risultato politico è che non ci sono alternative alla nostra alleanza con la Lega e al nostro governo che rimane forte e con una maggioranza più coesa di prima”. E, tanto per non smentirsi nel ruolo di Babbo Natale, aggiunge: “Il governo adesso è in grado di lavorare per la riforma del fisco e della giustizia, indispensabili per ammodernare il Paese”. E via, al concludere, con le stravecchie accuse alla sinistra, un calcio a Fini, uno sberleffo all’Udc incasinato, e via strombettando.
Promesse da marinaio. Naturalmente, chi abbia seguito un po’ la politica italiana degli ultimi 17 anni, e non sia un complice illuso, un leccapiedi a stipendio, o un responsabile nuovo modello, ammetterà che la musica berlusconiana è fatta di 4 o 5 accordi che si ripetono ad infinitum con qualche dilatazione fonetica appena avvertibile. Promesse da marinaio, amplificazione delle poche cose realizzate nelle emergenze, stravolgimento dei comuni termini della convivenza sociale, acquisti di persone senza personalità, campagne giornalistiche contro avversari (veri o gonfiati dal suo umore) affidate a farabutti senza coscienza etica. E non si capisce perché un Aldo Cazzullo debba impartire lezioni bipartisan a destra e sinistra quando le magagne della destra targata Berlù non lasciano spazio di confronto ai peccati altrui: che cosa vuol dire che Pisapia “non ha dissipato i dubbi legittimamente coltivati dai moderati milanesi, i quali, come nel resto del Paese, restano la maggioranza del corpo elettorale”? Perché “Pisapia farebbe bene non solo a precisare i punti-chiave del suo programma, ma soprattutto a indicare le persone incaricate di attuarli”? (Un po’ di serietà, Corsera, 21 maggio). E’ la solita “filosofia” del moderatismo-coda di paglia, che non nomina mai i poveri e assimilati (disoccupati, giovani al vento del futuro oscuro, e via piangendo). Destino burlone per il bene sonante vocabolo serietà: gli tocca avallare quel ceto medio che si “risolve” nel più guicciardiniano cultore del proprio particulare. Che proprio in questi giorni siano stati resi pubblici i super-compensi di manager, politici e mercanti miliardari è, insieme, una derisione cinica per quelle categorie emarginate e un risveglio di memoria per chi ha il culto dello sguardo attento su ogni aspetto e magagna di questa sedicente civiltà liberal-democratica.
Addio mia bella Napoli. Naturalmente, la buona salute dei partiti che i rispettivi leader del Pdl e della Lega sventolano coram populo è soltanto un auspicio e un mezzo ricordo: stridori e malumori sono all’ordine del giorno in entrambe le formazioni, e non sembra ci siano facili balzi alla cancellazione del primo turno elettorale, così poco saporito al palato ingordo, ma non sempre avveduto, di lor signori. Né sembrano di facile aggancio le pretese di Bossi sui due o più ministeri da dislocare a Milano (e qualcosina anche a Napoli, no? Ma sì, perché no?): anzi, hanno mandato in bestia il suo ricattabile alleato e una buona fetta del Pdl. Ma in segreto: in pubblico, se il Corsera non deraglia di grosso, si scrive: “I ministeri? L’albero della cuccagna doveva finire. E’finita Roma ladrona”: questo distillato di ottimismo clamante viene da quel fanciullone di Roberto Calderoli. Il quale “si dice sicuro del via libera da parte di Silvio Berlusconi”. Né gli manca la conferma del suo gran capo, che sentenzia: “Parola data non torna indietro, sulla questione dei ministeri Berlusconi è d’accordo. E i ministeri verranno”. Ipse dixit. Ma Bossi non è il venerando Pitagora, e difficile impresa sarà insistere su questa baggianata: che osteggiano alcuni nomi forti del Pdl, per esempio, Gasparri, Cicchitto, Alemanno, Polverini, Formigoni,e altri non pochi. Eppure il Senatur insiste, in quell’intervista, anzi alza la posta: “Non è mica detto che siano solo i ministeri mio e di Calderoli, anzi arriverà a Milano un ministero enorme, dove si fa l’economia”. E se Formigoni oppone altre priorità, il celoduro d’antan sbotta a zittirlo, rinfacciando: “E’ presidente della Lombardia per i voti della Lega, almeno stia zitto”. E gli gracchia una faticosa (ahimè, dove sono i bei tempi!?) pernacchia. Con questi chiari di luna, ha un bel rimediare il Ghe pensi mi incavolato nero “sostituendo” dipartimenti a ministeri: la fibrillazione sale di temperatura e lo spettro del maxi-crollo induce a moderare toni e tonificanti. Formigoni dichiara di aver ricevuto dal senatur una pernacchia, alla quale aveva risposto risentito, ma poi frena e dice che, no, non gliela restituirà. Un mini-evento simbolo: di un soprassalto di coscienza lucida sul possibile crollo catastrofico indotto da litigiosità interna: meglio lenire, sedare, smorzare. La resa dei conti verrà, casomai, dopo il ballottaggio. Che aspettiamo tutti, ma alcuni senza illusioni di cambiamenti epocali.
Pasquale Licciardello

domenica 22 maggio 2011

Gli zingari a Milano

"Inoltre, con la sinistra al potere, il capoluogo lombardo diverrebbe una città caotica, totalmente islamizzata, piena di zingari e violenti". berlusconi.

"Se al ballottaggio dovesse prevalere il centrosinistra a Milano uno degli effetti sarebbe il riconoscimento agli zingari dell'autocostruzione, potrebbero farsi una baracca come meglio credono". berlusconi.

"Milano e’ una citta’ che rinasce, non diventera’ una zingaropoli secondo i progetti di Pisapia". bossi.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perchè mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente perchè non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Bertolt Brecht.

venerdì 20 maggio 2011

Il cavaliere scavallato e i suoi cloni

Di questo Cavaliere ci siamo occupati tante volte che ormai ci viene la nausea a solo ricordarlo. Ma il fatto è che il soggetto si impone all’attenzione con la sua debordante collezione di primati originali instancabilmente in corsa ad augendum. Ho scritto decine di volte che da questo miliardario ridens senza freni ci si può aspettare di tutto, e nessuna affermazione potrebbe essere meno azzardo di questa. Eppure il Soggetto riesce ancora a stupire, a trovare punte di eccesso nuove anche per la sua variegata spregiudicatezza senza limiti. Limite, ecco la parola per lui straniera, ignota al suo lessico interiore, e vanamente appiccicatagli dai suoi consiglieri in affanno espositivo: il ben consigliato sembra convinto, ringrazia i vari Letta che lo assistono, con passione degna di migliore destinazione, ma alla prima occasione mediatica politica giudiziaria o soltanto arcoriana la caccia via sulla punta delle scarpe “rialzate”, e riprende a fare il suo dio, come si dice in gergo regionale.
         Ed eccolo a ripetersi in pubblico lo squallido ritornello dei giudici politicizzati comunisti eversivi e chi più ne ha più ne sbandieri. Ultima amplificazione, i magistrati milanesi sono un cancro, anzi, (per completare lo sgorbio ridicolo, ma anche infame), “un cancro da estirpare”. A dare ossigeno a tanto respiro, uno dei cloni più riusciti del cavaliere scavallato, la signora Santanchè, replica facendo un nome, in piena solidarietà femminile capovolta: “La Boccassini è una metastasi”. “Di collo in collo”, direbbe il Poeta. Né la scalata si ferma, o fa pause: il collo-colle è alto, e sembra crescere ad ogni picco raggiunto: il colle del ridicolo infetto di allergia alle critiche del libero confronto civile. Invano ben altro Colle, sempre vigile sulla dignità delle istituzioni, reitera i suoi alt, i suoi moniti accorati e consigli allusivi. Anche altri cloni del big Pig (politico) scagliano dardi al curaro contro gli avversari, ma il caso Santanchè è incomparabile: non c’è occasione di incontro televisivo con avversari che la sua intemperanza esternante non trasformi in supplizio per le persone decorose presenti, o collegate dall’esterno (siano pure fior di specialisti universitari. Di economia, politica, sociologia …). Ma una sofferenza anche per gli spettatori domestici moderatamente sensibili. E capita che un anziano spettatore ferito da tanta improntitudine da lavandaia d’antan si senta quasi personalmente colpito, e in cuor suo se la prende con i conduttori non abbastanza energici, a volte per troppo timore di incorrere in accuse di partigianeria. Cioè, di lesa par condicio: un tabù dei nostri tempi, di facile abuso, per calunniare chi e cosa non piace allo scavallato e ai suoi cloni. C’è da rimpiangere che non si possa telefonare alla trasmissione boicottata da questi figuri per una lenitiva protesta. Insomma, il termine di confronto per la poco signorile signora tutt’altro che santa, al momento, non può essere meno di uno  Scilipoti, autore e campione finora ineguagliato di cafoneria torrenziale e manicomiale aggressività da suburra. Mi chiedo ancora come abbia fatto quel giovanotto massacrato di insulti a pioggia caterattale, durante la trasmissione “Chi l’ha visto” sulle vittime di certa micidiale medicina alternativa, a frenare l’inevitabile impulso di saltare al collo di quel gentiluomo verminoso. Ancora un omaggio a donna Daniela, calibrato su un’altra sua virtù: il movimentismo zelante in difesa delle cause perse. Cioè, indifendibili: come dire, di taglio arcoriano. Eccola prendere in braccio il caso Roberto Lassini, quel simpaticone dei manifesti con la scritta “Via le Br dalle Procure”: una bravata destinata agli annali di questo lembo di storia molto italiana. Com’è noto, la Moratti lo sfrattò dalle sue liste: non è stupida fino al punto da rischiare un auto-gol per colpa di azzardi di eccessivo impatto destruens. Eccone la frase-picco: “La mia presenza è incompatibile con quella di Lassini in aula consiliare”. Ed ecco, mentre il tapino annaspa strologando sul personale futuro (“Se sarò eletto penso che vada rispettata la volontà degli elettori”, “penso anche che durante la campagna elettorale andrò a qualche comizio della Moratti”) la Daniela dei miracoli scende in campo col più berlusconiano dei Ghe pensi mi. Accoglie a braccia aperte la sconsolata Mariuccia Lassini, moglie dell’eroe al sommacco, ed ecco le due amiche far parte “delle mille donne presenti sedute ai tavoli della cena organizzata a sostegno di Letizia Moratti. Convinta dalla Santanchè, la moglie dell’avvocato, molto discreta, è andata a salutare il sindaco e a scambiare con lei due chiacchiere”. Cordiali, sembra. Ma non al punto da prevenire-bloccare la dichiarazione della Moratti, la quale ha tenuto a precisare che “non si è fatto cenno al caso specifico” ed ha apprezzato la discrezione della signora che non ha “affrontato il discorso”. Insomma, un passo alla volta. Ma il marito-testa di turco (chi c’è dietro quei manifesti?) si sente pungere dalla fretta consolatrice e sprizza scintille sulla fortuna (che è donna!): “C’è stata anche una riconciliazione tra la mia famiglia e il sindaco: tra le partecipanti alla cena delle donne del Pdl c’era infatti anche mia moglie e la Moratti l’ha abbracciata con piacere”. L’autrice del miracolo gongola, e vanta le virtù del gentil sesso: “Le donne sono più pragmatiche degli uomini ed io mi sento di dire che la questione si potrà risolvere tra donne”. E sorvoliamo sulle emozioni e i complimenti reciproci fra la maga citata e altre bellezze del giro. Ci basti ribadire la vocazione per le cause storte della nostra Daniela alza-la vela. Più clone di cosi!
         Tornando al Cavaliere, ci corre l’obbligo di non privare quest’altro nostro sfogo terapeutico di altre sue recenti cavolate degne del suo estro migliore. Ma soprattutto delle gentilezze offerte come omaggio floreale singolarmente particolare  alle donne politiche sue avversarie. A Rosy Bindi, non nuova a questi riguardi scavallereschi, torna a replicare il memento sulla (presunta) bruttezza (lei, poverina, si è limitata a una contro-battuta frenata: “E’ bello lui!”). Alla Jervolino ha rivolto un’ “allocuzione”, come dire?, più articolata: “Quando si guarda allo specchio si spaventa”. Stiamo accennando a poche delle molte intemperanze che hanno coronato la campagna elettorale del Berlù burlone. Un cenno alle esternazioni “sostanziali” non sarà meno umoristico delle sue zampate al galateo che scherma il gentil sesso (così si diceva delle donne ai miei lontani tempi). Vi par poco spumeggiante di letizia bugiarda l’impegno “campagnolo” a bloccare la demolizione elle case abusive in quel di Napoli e territorio? O la confezione verbale di cui la cinge come si fa con l’apposita carta per le merci di bottega? Eccone un campione: “Questo [il blocco] ci permetterà di avere il tempo necessario per valutare serenamente il problema in vista di una definitiva soluzione”. Ipse dixit. E se ci si prova a ricordare quante volte questo definitivo ha imbrogliato lettori e ascoltatori ci coglie un capogiro nevrotico: definitiva fu promessa la salvezza vera de L’Aquila post-sisma, che giace ancora sotto vaste macerie e relativi disagi. Definitiva la sconfitta della monnezza campana e in particolare napoletana: che, come un’amante devota, va e viene e mai scompare. Anzi cresce in gloria insieme al competente rischio di epidemie più o meno estrose. Definitivo, anche, il più volte promesso piano di riscatto-rilancio del Sud variamente incasinato, che, tra scarso sviluppo e florida malavita (di ogni livello e impatto ambientale), costituisce un altro problemino dappoco! E non saranno riforme definitive quelle che da non pochi anni promette alla Giustizia, che tremula attende, alla bicameralità parlamentare (campa cavallo), alla Costituzione (Giove fulmini certi improvvisati costituzionalisti!) e via salendo?
         Molto rumore per nulla, direbbe il grande Shakspeare. Ma nel caso è per una campagna elettorale amministrativa. E siccome l’alleato Carroccio si sta rivelando, da un po’ di tempo, pochissimo incline a ingoiare rospi e raspamenti, la trovata di  mister premier accende reazioni vibrate, non solo fra le opposizioni, ma anche in quel di Lega Nord. Ecco Calderoli avvertire: “Dello stop Berlusconi dovrà parlare anche con noi. Che sia a Napoli o in qualsiasi altra parte, se una casa è un abuso deve andare giù”. Più colorita la reazione di un altro “testimone”, l’eurodeputato Mario Borghezio: “Fermare gli abbattimenti mi sembra una grandissima c…” (così riporta il Corsera, e non osiamo riempire quella mutila e solitaria c). Formale, al contrario, la postilla di Castelli: “Non credo proprio che potremo votare una sanatoria sull’abusivismo”. “In serata -precisa il citato Corsera del 13 maggio- interviene il leader Umberto Bossi a cambiare toni”. Il tono usato dal patron carrocciato sembra un’involontaria replica in rebus al Berlù che giorni fa si vantava così della ritrovata concordia col Senatur: “Siamo solidi”; e il leggendario Bossi duro di ieri oggi sembra un po’ liquido in questa risposta tenera verso le difficoltà dei poveracci: “è una vecchia storia. C’è la legge, ma purtroppo a volte si tratta di gente povera e mi rendo conto che non è allegra se gli butti giù la casa”. Scontata la reazione delle associazioni ambientaliste, che richiamano le “sentenze penali definitive” contro le quali cozza l’ipotesi elettoralistica del cavaliere scavallato. Qualche senatore Pd lo paragona a Cetto Laqualunque, il fortunato personaggio dell’ottimo e “solidissimo” nostro conterraneo Albanese. Addirittura si amplifica il Berlù come “più credibile dell’originale” La radicale Elisabetta Zamparutti taglia corto: “Le sue parole sarebbero gravi se lui non fosse totalmente inaffidabile” E questo è un bel parlar chiaro. Ma il movimentato incontro-scontro fra Cavaliere e Senatur è tutt’altro che concluso. Anzi, ad ogni sortita del primo fa eco dissonante il commento del secondo. Così, l’eroe del bunga bunga ventila l’ipotesi di un Tremonti suo erede al “soglio” di palazzo Chigi? La pensosa gravitas del secondo frena: “non è detto che la Lega ‘presti Tremonti’ a Berlusconi”. E quando, il giorno dopo, pare voglia stemperare il “sapor di forte agrume” di quel “non detto” vi immette appena un velo di miele infilato in un elogio a Tremonti: “Tremonti premier? Ma lasciatelo stare, Tremonti è  mio amico […] Lui è più o meno bravo in tutto. Ma c’è già Berlusconi, non accetterebbe mai di sostituirlo”. Se, poi, si spettegola su un eventuale futuro quirinalesco per “Ercolino sempre in piedi”, all’anagrafe Silvio Berlusconi, il socio leghista non ha bisogno di tempo per confezionare una risposta rasposa: “Berlusconi al Quirinale? Io lo voto come premier”. E così sia. Se poi si passa a temi più seri, come la campagna elettorale fragorosa di accenti e velenosa di insinuazioni del tutto sciolte dalla realtà, eccessi barbari contro i quali Napolitano continua a invocare toni più pacati e rispettosi, Bossi non esita: “io sto con Napolitano, quello che firma le leggi, meglio non esagerare con i toni della campagna elettorale. Certo è difficile in questo periodo. Ma noi, la Lega, li teniamo bassi”. Sempre vigile e “polarizzato” sul presente non bello, il Presidente tenta di servirlo ad ogni occasione: commemorando Antonio Giolitti, egli ne elogia la visione politica “non machiavelliana”, e la pacata mitezza, in opposizione a certa politica che, come constatava Bobbio, “è arroganza, potenza e prepotenza” . Che è quanto, con trasparente sofferenza, constata Napolitano: “C’è stato negli ultimi vent’anni un divorzio tra politica e cultura”. E’ a questo Napolitano che Bossi esprime gratitudine, anche affrontando un argomento sensibile non troppo amato dal Berlù dellutrizzato: la malavita tentacolare. Impegno della Lega, dicono i candidati leghisti e ripete Bossi, è una lotta reale contro l’idra dalle troppe teste (e non poche inconfessate complicità). Loro, dice Fabrizio Cecchetti, un enfant prodige candidato a sindaco e molto caro a Bossi, alludendo ai mafiosi “non ci voteranno mai, la Lega è contro la ‘ndrangheta”. E Bossi fa eco: “Siamo pieni di mafia. Non si può pensare allo sviluppo, non si possono fare progetti se c’è la mafia. La Lega è qui anche per spazzare via la mafia”. Che sono parole esaltanti, quasi da compiangerne la rauca pronuncia forzata della fonte. E che ti svegliano ricordi stridenti con l’augurio tonificante di una salvifica, ma purtroppo ancora improbabile, vittoria sull’idra dalle troppe teste: non solo la tragica fine dei Falcone e Borsellino e delle decine di giudici degni del nome impegnativo, ma perfino una famosa e titillante canzonetta di Mina: “Parole parole parole…”
         Scontro Moratti-Pisapia. O meglio, attacco della sindachessa milanese al candidato pd Pisapia. Vicenda dilagata a pantano, cioè a cosa impossibile da ignorare. La poco avveduta, e ancor meno gentile, Letizia usa un’arma spuntata contro il concorrente nella battaglia elettorale per l’ambita poltrona “sindacale”: sostiene che il rivale fu giudicato “responsabile del reato di furto di un veicolo usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane” e di essersi salvato con un’amnistia. Alla reazione del calunniato, che a suo tempo rinunciò alla soluzione amnistia, chiese un regolare processo e fu assolto con formula piena, la signora invece di chiedere scusa  ascoltare chi la consiglia in questo senso, rincara la dose. E scaraventa addosso al leale concorrente questa boutade: “La storia politica di Pisapia è una storia di frequentazioni di terroristi, che si riflettono anche nelle sue posizioni di oggi: non a caso è sostenuto da Rifondazione Comunista ed è il candidato di Rifondazione”. Ecco la reazione di Pisapia: “Dichiarandosi moderata, ma risultando estremista, la Moratti insiste nelle sue bugie, delle quali risponderà davanti all’autorità giudiziaria”. Un bel duello, anzi brutto. Al quale si è arrivati, quasi certamente, per il maligno intervento dell’inner cercle, cioè l’intima cerchia, o consiglio ristretto del premier: che ne poteva sapere la povera Letizia di Pisapia e compagnia?  Quei campioni di signorilità esperti in bufale multicolori la imbottirono di menzogne ed ecco il patatrac. E’ proprio incorreggibile il nostro Cavaliere scavallato: segue da presso i suoi cloni, e quando è il caso li affida ai suoi mestatori, che li correggono, limano, perfezionano al peggio. Fino a farne dei piccoli mostri (sul modello, per capirci, dei vari Sallustri, Belpietro, e simile zoologia  politica. Intanto Pisapia incassa la solidarietà delle persone perbene: tra queste, Giovanni Bachelet e Marco Alessandrini, figli di due vittime delle Br. E di Celentano, che così argomenta: “Pisapia ritiri la querela, perché ha già vinto. La Moratti ha colpito con un’infamia; ha tirato fuori non le unghie ma la pistola, e si è sparata sui piedi”. Meno, anzi per niente, colorito (al solito) il buon Bersani, che dichiara: “Il duo Berlusconi-Moratti è disastroso per l’Italia”. Ovvio, ma grigio. Appena più aerato Casini: “Una caduta di stile, forse dovuta al nervosismo”. E’ di quelle che gelano, la battuta di Bossi: “Meglio far politica, bisogna parlar dei programmi e non di quello che ruba la macchina”. Naturalmente, tutta la solidarietà per la Moratti da parte Pdl. Una per tutti, Michela Vittoria Brambilla, che non brilla per originalità o humour, ma non è del basso livello Santanchè. Il suo contributo alla ribalta comica è questa banalità spoglia e derelitta: “La Moratti può permettersi di dire la verità perché, a differenza di qualcun altro, non ha un passato di cui vergognarsi”. Poco cavalleresco Nichi Vendola, ma esplicito: “Con la sua consueta disonestà, Letizia Moratti non ha chiesto scusa per avere insultato una persona perbene”. Intanto Letizia più si muove e più sprofonda: un’intervista del Corsera non ne migliora la faccia.
                                                            *
         Tutto questo, prima della votazione: che ha punito certe arroganze e sembra aprire un nuovo corso nel destino politico di questa lacera Italia dei mille compromessi e degli infiniti imbrogli (vedi Gabanelli nei suoi Report). Ma di ciò, a Giove piacendo, prossimamente.
Pasquale Licciardello

mercoledì 11 maggio 2011

Quousque tandem

  • Per il "nostro" premier chi è di sinistra non si lava mai! Ergo...puzza!
  • Il deputato gargagni propone di sospendere dall'insegnamento tutti gli insegnanti politicizzati (vedrete ci riuscirà)!!
  • La signora (?) moratti proclamandosi moderata accusa Pisapia di avere rubato una macchina utilizzata per un pestaggio!!!
  • Gli  industriali applaudono l'amministratore delegato della Thyssen condannato in primo grado per omicidio!!!!
  • La destra italiana, autoproclamatasi democratica e libertaria, ha deciso di boicottare in tutti i modi i referendum sul nucleare, sull'acqua e sul legittimo impedimento!!!!!
Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Quamdiu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?

lunedì 9 maggio 2011

La bossiade intralciata

Per tre-quattro giorni Umberto Bossi ha fornito il “Primo Piano” ai quotidiani nazionali: la sua bossiade oscillante teneva in bilico un governo in balia degli eventi di più difficile controllo. La decisione di piegarsi alle pungolate della Nato senza coinvolgere l’alleato in un’ovvia discussione-consulto aveva acceso una prevedibile vampata di nervosismo aggressivo nel Senatur snobbato. Indi, sue minacce al socio fellone, sensazione diffusa di un governo esposto; poi mea culpa del Cavaliere penitente con implicite scuse al risentito alleato, rassicurazione dello stesso sulla sorte del governo (“Non voglio mica far saltare il governo!”). Insomma, bonaccia semi-ritrovata, pace sospesa all’impegno di discutere alla Camera una mozione leghista con precisi paletti operativi e indicazione di tempi per l’intervento aereo contro Gheddafi. Ma, ahimè, pace di non lunga durata, se ricominciano, nel pieno del tripudio popolare mondiale per la beatificazione di papa Wojtyla e nel vortice euforico del 1°maggio spalancato nella tradizionale non-stop ultrafestiva di piazza san Giovanni, ricominciano le minacce leghiste al governo, mutile del precedente e rassicurante “non voglio” bossiano. E siamo in piena fibrillazione di attesa incerta, mentre altre notizie di estensione planetaria abbassano l’eminenza nazionale ed europea della bossiade. Seguita sui titoli dei quotidiani l’Eneide nana di Bossi mostra pressappoco la scansione del Corsera: 29 aprile, La frenata di Bossi: il governo non rischia “Troveremo la quadra, non finirà come spera la sinistra. Povero Berlusconi, è scombussolato da Sarkozy”. L’Accenno al presidente francese sottende un altro muso lungo dell’Umberto, convinto che il pieghevole e versatile socio abbia ceduto più dell’opportuno alle pretese del galletto gallico (“Sarkozy è saltato addosso a Berlusconi: voglio la Parmalat, voglio la Edison di Milano…Berlusconi è rimasto un po’ scombussolato”). Quel 28 aprile (giorno di riferimento dei quotidiani) Calderoli e altri leghisti di peso erano perfino più nervosi del Bossi incazzato: parlando by phone con La Russa-Mefistofele e il Berlù-Barbiere di Siviglia (Figaro qua, figaro là…), Calderoli (“Di male in peggio”) non fu informato dell’azione militare, già in campo nel fragoroso sfrecciare dei tornado lanciamissili, e tradotta in notizia circolante sulle agenzie di stampa. Situazione ambigua, insomma. Anche se Napolitano garantisce (spero, obtorto collo) la “copertura istituzionale”, rassicurando sulla coerenza Onu dell’impegno espanso. La Russa tace, blindato e musone, anche con i giornalisti incalzanti. Il 30 aprile sul Corriere si legge: Berlusconi: stiamo superando le fibrillazioni. Il Cavaliere scommette sull’intesa con la Lega, diplomazie al lavoro per fissare un incontro ad Arcore. Il testo, tuttavia, comincia con questo bizzoso balletto: “Lo ha cercato anche ieri e non l’ha trovato. Berlusconi insegue, Bossi si nega. Non è ancora arrivato il tempo della riconciliazione”. Si parla di una mozione comune, ma la Lega fa sapere in giro che la loro mozione è già stata presentata in Aula. Altri titoli dello stesso sabato: Il Senatur tra strappi e segnali: chiamerò il premier guerrafondaio. Ancora lancio di spilli e spilloni: “Il guerrafondaio? Stavolta l’ha fatta grossa”, così Bossi. E prosegue, sulle elezioni amministrative: “Se a Milano si perde, a perdere è Silvio Berlusconi”. Il socio sleale, infatti, ne ha combinata un’altra delle sue: “Lui -- continua Bossi -- ha giocato d’anticipo. Ha saputo che stavo per candidarmi a capo lista e zac, si è candidato lui”. Per fare da traino, si direbbe, contro il rischio che il traino senaturiano impinguasse troppo la concorrente Lega? Ovvio. Ma replica Bossi: “La cosa importante è che dobbiamo andare alle elezioni facendo capire bene che noi e il Pdl non siamo la stessa cosa”. E, punto da altre domande in tema “contrasti”, spara (anche contro Casini, che lo sospetta di fare “ammuina”): “Ma vorrei vedere…Siamo d’accordo sul solo uso delle basi, e due settimane dopo è tutto il contrario? Senza neanche una parola? […] E’ una cosa incomprensibile, siamo incazzati neri”. Tant’è che non frena, anzi rincalza, allude pesante: “una cosa del genere si giustifica soltanto se ci sono dietro degli interessi”. E subito aggiunge una valutazione intrinseca al fatto grave: “No, no, qui non si è capita la gravità di ‘sti bombardamenti. Pensate a tutti i casini che ne verranno”.
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Intermezzo di contingenza. Come non di rado accade al sottoscritto, l’articolo in corso (sempre disteso fra più sedute in giornate diverse) viene sorpreso e sopraffatto da novità di maggiore peso: in fattispecie, l’uccisione di Osama Bin Laden da parte dei cacciatori specializzati dello Zio Tom atomico in avatar Barak O Bama. Immaginabile lo sfolgorio planetario del trionfalismo ingrassato da un decennio di tentativi e delusioni, la profluvie di articoli e articolesse, di competitive spremiture di meningi a chi si mostri più informato del passato e occhio di lince sul futuro di possibili reazioni della galassia qaedista sparpagliata per le zone più esposte dell’intero Occidente. Non senza qualche fondente di stupidità evangelica sulla gran torta delle parole sensate e delle chiacchiere pleonastiche: un esempio di siffatta dolceria, nell’articolo di Armando Torno riecheggiante la Fonte suprema di quella specialità: “La Chiesa”. Si può esultare per una morte? E uno pensa alla miriade di morti con torture comminate dalla Santissima nei secoli d’oro della sua ingordigia mondana. Meno indigeste le boutade involontarie di certa intelligence laica, come dai seguenti esempi corriereschi: “Etica e politica”, Aldo Cazzullo, Era meglio processarlo (e pazienza per quello sbarazzino e “modernistico” Era al posto del corretto, ma aulico sarebbe stato). “Ragion di Stato”, Pierluigi Battista, Noi e il corpo del nemico. Accanto a questi esempi di frivolezze spalmate di moralina ce ne sono di altra natura, per esempio del genere “il superfluo assoluto”: eccone un esempio dello stesso pomposo ospite cartaceo: La Cia avvisa l’Occidente “Al Qaeda si vendicherà”. Caspita, chi l’avrebbe mai sospettato? Quanto più serio Sergio Romano col suo editorialino (pur segato fra la prima e la 50a pagina): Sollievo e speranza. Il “catenaccio” del giga-titolo (Gli ultimi 40 minuti di Bin Laden) indulge a un sentore di gossip macabro scrivendo: “Non s’arrende, due colpi in testa. Una delle mogli usata come scudo durante lo scontro. Il cadavere identificato dal Dna e seppellito in mare”. Siamo del tutto sicuri di quello scudo? Seppellito in mare o dato in pasto ai pesci? Graffiante, come spesso gli accade, la vignetta di Giannelli, col suo uso lampeggiante di quel mare finale e tombale. Due pensionati  (si suppone) seduti sul medesimo sedile pubblico. Uno sfoglia il giornale, legge e annuncia rivolto all’amico: “Hanno ucciso Bin Laden”; l’altro chiede: “E le prove sull’identità?” Precisa, serio (o sornione?) il primo: “In alto mare”. Una via di mezzo sembra seguire l’ottimismo gioioso della scrittrice Jay McInemey: “Il suo odio non ci ha cambiati”.  Vero: restiamo tutti mezzo santi. Sarà l’effetto Wojtyla-beato? Fine dell’intermezzo.
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Tornando al nostro tema casalingo, il giornale che stiamo sfogliando vi si aggiorna su questo tono e con i seguenti titoli e contorni: Mozione, Lega e Pdl cercano l’intesa. Bossi:il premier terrà in piedi il governo (titolo) “Non è scemo”. “Data finale della missione e copertura economica i nodi da sciogliere”. Verso il voto. Berlusconi, in veste di responsabile (l’aggettivo fortunato!), o pompiere che sia: “condivisibile il senso delle loro proposte.” Il sommario condensa come segue i punti del possibile accordo: “Le proposte. I sei paletti fissati dalla Lega. 1 La Lega chiede: soluzione diplomatica, no ad azioni di terra, termine temporale, niente aumenti di tasse, riparto dei flussi migratori e ‘rimedi’ alla bocciatura del reato di clandestinità. 2 La soluzione tecnica e la trattativa. Nel pdl si sta lavorando a una soluzione tecnica che limi i punti più controversi della proposta leghista: dalla ‘data di chiusura’ della missione alla sua copertura economica. 3 Le altre tre mozioni di Pd, Idv e Terzo Polo. Le altre tre mozioni sono presentate dal Pd (favorevole alle azioni contro obiettivi militari); dal Terzo Polo (sì all’uso delle armi a fini umanitari); e da Idv (no alla partecipazione attiva a bombardamenti)”
Aggiornamenti al 4 maggio. Titoli del Corsera. Libia, Pdl e Lega uniti al voto. “Niente tasse e data per il ritiro” Mozione comune: il governo si impegna a concordare l’uscita con Nato e alleati. La maggioranza si ricompatta su un testo in 7 punti. Pd, Idv e terzo polo divisi. Pace fatta, dunque? Piano: l’accordo, così tranchant, nelle sue implicazioni, per la logistica della Nato, non ha un gusto di sicuro impatto sulla mensa dell’Alleanza. Ecco i 7 punti: “1. La mozione impegna il governo all’azione politica sul piano internazionale per una soluzione diplomatica della crisi libica. 2. La mozione firmata dai capigruppo di Pdl, Lega e Responsabili esclude ogni futuro intervento delle truppe italiane in azioni di terra in Libia. 3. E’ richiesto anche un termine temporale certo di fine ostilità in accordo con gli organismi internazionali e i Paesi alleati. 4. La mozione unitaria recepisce le sei condizioni della Lega, tra le quali l’impegno del governo a non imporre ulteriori tasse. 5. Razionalizzare le missioni in corso attraverso una graduale e concordata riduzione degli impegni del nostro Paese. 6. Superare le criticità [sic] conseguenti alla sentenza della Corte di Giustizia Ue che ha bocciato il reato di clandestinità. 7.Promuovere il concorso di tutti i Paesi alleati per l’esodo migratorio,l’asilo dei profughi e il contrasto dell’immigrazione irregolare”.
Commenti a caldo. La tavola imbandita offre tovaglie di bucato e  posate luccicanti, ma piatti e portate di bella apparenza e dubbia digeribilità. Tanto per cominciare, la Nato precisa e avverte: “La missione finirà solo quando Gheddafi si ferma”. E se il titolo è drastico, il testo è chiaro: “L’operazione durerà fino a quando le forze di Muammar el Gheddafi non smetteranno di attaccare la popolazione libica”: dichiarazione, guarda caso, del comandante italiano “delle attività navali dell’operazione a comando Nato ‘Unified Protector’”, ammiraglio Rinaldo Vieri. E tanto per non lasciare nuda la dichiarazione la veste di argomenti perentori: “E’ una missione che richiede tempo. Una volta sgominata la prima linea, altre forze si stanno camuffando e sono più difficili da individuare”. Come dire: le risorse controffensive del Raìs non sono esaurite. Il che viene a dire che si scopre ogni giorno di più quanto frettolosa sia stata la valutazione della rivolta, tribale e limitata nella realtà, ma promossa a santa ribellione di popolo innamorato, d’amblé, della seducente democrazia occidentale, questo cielo senza macula. Aggiungi che è in arrivo il Segretario di Stato Usa, madame Hillary Clinton, impegnata, giusto, a confortare l’Italia in Libia: come dire no a tanta auctoritas?
Ma il Cavaliere è uomo di risorse. Metterà d’accordo il diavolo e l’acqua santa: convincerà il Senatur della sua lealtà stima affetto e quant’altro; darà una mano di sbianchina sui pubblici malumori verso l’inflessibile Tremonti salva-conti, e rimpiange di non poter bombardare (sic!) il suo Giornale senza colpirne a morte gli umani facitori faziosi verso il socio.  Ed ecco i titoli scampananti del  Corsera, del 5 Chiarimento con il Senatur. “Alla fine ci si intende”. “Il retroscena. Il segnale per allentare le tensioni con il principale alleato. L’obiettivo: ricucire e rassicurare il superministro”. E così ci si può godere quest’altro titolone: Missione, passa la mozione di Lega e Pdl. Magari sorridendo all’ottimismo del Senatur: “Bossi: la Nato dovrà tenerne conto”.E come no?. Il Berlù svampa, more solito, e sentenzia come segue: “Con Bossi ho chiarito tutto. Abbiamo dimostrato ancora una volta che la maggioranza e il governo sono solidi”. Più delle rocce laviche, come no! Ma già qualcuno ha scritto una “Nota” che risponde a un titolo lampante: Compromesso ambiguo che conferma le distanze fra Cavaliere e Senatur (Massimo Franco, Corsera del 4). Con  replica, non meno critica, il giorno dopo: Una semplice tregua che lascia un’ombra sull’immagine del Paese. Ma, intanto, il premier si gode il sorriso del Segretario di Stato Usa: Berlusconi e Frattini ricevono la Clinton. Il nodo: spiegare che l’Italia non si è isolata. Sopra il luminoso sorriso del titolo scorre la nube di questo “occhiello”: Il segretario generale Nato Rasmussen: no ai tempi certi per la fine delle azioni. Come non bastasse tanto groviglio ci si mette dentro anche la Corte penale internazionale dell’Aja: L’Aja vuole l’arresto di Gheddafi. Ma, per non intristirlo con la buia solitudine, vorrebbe fargli compagnia almeno con il cognato, Abdullah Senussi, e il figlio, Saif al-Islam: il primo, in quanto capo dell’Intelligence libica, il secondo come esecutore degli ordini paterni. L’accusa? Crimini contro l’umanità. Non quantificabili, date le precauzioni per nasconderli, ma innegabili.
In una delle sue brillanti trasmissioni della serie La storia siamo noi Giovanni Minoli mostrava l’universale disinformazione che accompagna tutte le guerre, dalle più remote alle contemporanee. E ricordo il monito di un grande personaggio: “Quando scoppia una guerra la prima vittima è la verità”. Tenendo conto di questa fatalità, bisogna avere una saggia diffidenza sulle notizie che ci vengono ammannite da ogni conflitto. Non escluso l’attuale libico. Crimini contro l’umanità con imprimatur Gheddafi? Non si possono escludere. Ma neanche misurarne l’ignobile peso sulla parola di fonti interessate a demonizzare al meglio il Raìs. Specialmente quando si è di fronte a un “errore” atroce dei nuovi crociati che, in un disinvolto bombardamento contro un rifugio del Colonnello ne uccidono tre nipotini, e la stampa quotidiana ricorda l’atrocità solo (se non ci sfugge qualcosa) con un breve testo della scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti che lamenta l’insensibilità frettolosa di politici e giornalisti: Quelle piccole vittime collaterali. Qualcuno chieda almeno scusa. “Invece niente per i tre nipotini di Gheddafi, bambinetti di pochi anni senza nome e senza volto, morti sotto il bombardamento della casa nella quale avevano la sventura di abitare, considerati, probabilmente, inevitabili -- e secondari -- effetti collaterali, non una parola di rammarico è stata pronunciata da parte degli alleati in guerra con il loro nonno. Eppure civiltà vorrebbe…” (Corsera, 5 maggio). Già: civiltà, giusto quella sostanza che viene sbandierata a giustificazione e legittimazione di tanta e tanto frenetica missione umanitaria, zeppa di democrazie congiunte per la grande occasione. E rileggiamo la lettera congiunta che Franco Frattini e collega del Qatar inviano al Corriere(in occasione del vertice romano del Gruppo di contatto internazionale), e sintetizzata nel titolo luccicante di buone intenzioni e libere maiuscole: Pressione militare, diplomazia, sanzioni. La nostra strategia per una Libia libera: “Quella a cui stiamo assistendo non è una guerra civile, ma è la resistenza del popolo libico contro l’aggressione dell’esercito personale del suo leader”. Eccola qua, la magia verbale che aggiusta le cose e copre le magagne: l’esercito libico è degradato a strumento personale del Raìs, la parte di popolo che lo riconosce scompare, le ragioni di interesse materiale che pure premono nella rivolta e nella missione repressiva vengono obliterate. E resta, libero e puro, il bignè delle migliori intenzioni. Il che (ripetiamo per l’ennesima volta) non significa che qui si voglia ignorare quella componente sinceramente democratica che ha dato la spinta della rivolta, specialmente nel “comparto” giovani ambosessi. Un equilibrio che si vorrebbe trovare anche nel fervorino che Angelo Panebianco (Lo sguardo miope della Lega, Corriere citato) fa a Bossi: “La ‘missione’ che la Lega si è data è la difesa del Nord. Ma in un mondo in cui cresce l’insicurezza e le minacce esterne diventano sempre più pericolose, non serve chiudere l’uscio di casa, non c’è salvezza per l’Italia (e dunque nemmeno per il Nord) al di fuori delle sue alleanze internazionali. I radicali mutamenti in corso in Medio Oriente dovrebbero suonare anche per Bossi come un campanello di allarme. Urge, da parte dei leghisti, una seria revisione delle loro idee su come affrontare le sfide che il mondo esterno ci lancia.” Una siffatta revisione non farebbe male neppure a Panebianco se applicata alla sua visione dell’Italia democratica e libera(le) nella sua realtà di differenze abissali tra ricchi e poveri (per dirla all’antica!), di disperazione al limite del suicidio o della rivolta violenta, presso intere categorie sociali, quali emergono da inchieste serie, di vessazioni fiscali criminali (come nell’ultimo Annozero). Invece di questo esame di coscienza si pratica l’etica-politica dello struzzo sulle nazionali magagne, si striscia, più o meno allegramente, davanti agli Alleati di peso (L’Italia alla Clinton: manterremo gli impegni), si svicola in distinzioni patetiche (e un po’ sordide), come si legge in questo “catenaccio” di quel titolo: Il premier: azione militare decisa dal Parlamento, io non la volevo. E meno male che “Non chiede una data finale”. Quanto a Bossi, resta cauto: “Se saranno accolte le nostre richieste? Speriamo, speriamo” “Altrettanto guardingo” si mostra sulla “ritrovata armonia con Berlusconi”: “Vediamo…”.
Intanto, guerra o non guerra, il movimento politico interno non soffre di pause, almeno verbali. Si capisce, il movimentismo berlusconico osserva sempre la sua regola aurea: molte parole, pochi fatti. E così sentiamo di una miriade di promesse progetti programmi riforme e via salendo: Pacchetto sviluppo. In tre anni 65 mila insegnanti nei ruoli. Piano Casa per l’estate. Alle imprese 300 euro per ogni assunto al Sud. Ampliamento degli immobili fino al 20%.  I distretti turistici a burocrazia zero. Un tetto per i mutui a tasso variabile. Sanatoria, per la casa bonus fin o ql 20%. Fisco light per famiglie e commercianti. Che sia l’aria frizzante delle imminenti elezioni locali a insufflare tanta euforia pragmatica? S’intende, un pragma, al presente, tutto e solo verbale. Intanto, si gode, oltre al sorriso, anche i suggerimenti della signora Clinton: Gli Usa suggeriscono di puntare sul dopo-Gheddafi. Magrolino, si vede, come suggerimento e consiglio partneriale. Ma lui, modesto com’è, s’accontenta.
Chiudiamo ignorando le solite recite del Cavaliere contro i giudici comunisti, le presunte menzogne delle accuse palesemente documentate, i processi che oscillano sopra la sua copertura cranica, gli insulti a Fini, la personale moltiplicazione dei pani (e companatico) con l’assunzione di nove sottosegretari comprati col denaro di noi contribuenti (con certi stipendi!), la promessa-impegno di varare altri 10 ministri (?), l’intervento del Quirinale, come da titolo seguente: “Maggioranza cambiata, valutino le Camere”, l’irritazione vibrata dei complici sub specie parlamentare e ministeriale, la volgarità suburrana dei fogliacci di famiglia (Libero, Il giornale) contro Napolitano comunista scontento, le mezze investiture alla successione (Tremonti, Alfano,…); e altre amenità di corsi e ricorsi inarrestabili. A che pro ripetere e ripetersi? Intanto Bossi tenta di riprendersi la bossiade infiacchita: e fa coro con altri geni del giure istituzionale: “Dura la reazione di Pdl e Lega: non servono altri passaggi parlamentari”. E vien fatto di richiamare il memento che circola in questi sfoghi: più dura l’ostinazione a cancellare le evidenze a rischio di questa democrazia bacata, la cui tutela resta affidata a pochi politici validi e a pochissimi uomini di buona volontà di varie istituzioni socio-economiche titolari di chiaroveggenza. Ma troppo pochi contro le masse accecate da bagliori ingannevoli, contro l’ingordigia degli eminenti corrotti. E contro la disperazione di cui si diceva sopra. E che cresce, inarrestabilmente.
Pasquale Licciardello 

sabato 7 maggio 2011

berluconi li chiama responsabili

Manuela era paziente di Danilo Toneguzzi, psichiatra di Pordenone, presidente del “comitato scientifico” dell’associazione ALBA (Associazione Leggi Biologiche Applicate), che divulga in Italia le teorie di medicina alternative propugnate da Hamer.  Ryke Geerd Hamer è un medico tedesco noto per essere il papà di Dirk Hamer, il ragazzo ucciso da Vittorio Emanuele di Savoia. Radiato dall’albo dei medici, pluricondannato, tuttora latitante e dichiaratamente antisemita, Hamer è altresì famoso per essere il fondatore della “Nuova Medicina Germanica”, disciplina condannata in Europa e additata come causa di un numero considerevole di decessi.

Ma che attinenza c’è tra Scilipoti, Toneguzzi e Hamer? Il deputato dei Responsabili, medico ginecologo, è un alfiere della medicina olistica e in occasione dello strombazzato convegno da lui organizzato il 15 aprile scorso a Palazzo Marini, presso la Camera dei Deputati, (“La medicina della natura, l’approccio olistico alla malattia e alla salute”) ha invitato come relatore proprio Danilo Toneguzzi. E’ in questa sede che lo psichiatra spiega agli astanti le famigerate cinque leggi biologiche scoperte dal dottor Hamer e “la prospettiva psiconeurobiologica nella comprensione della genesi e della natura della malattia”.

La trasmissione “Mi manda RaiTre” mostra uno stralcio della conferenza tenuta da Toneguzzi, che così sentenzia mentre un trafelato Scilipoti zompetta alle sue spalle: “Un’ultima conclusione cui è giunto Hamer è che la malattia, espressione di una serie di fenomeni con una logica ben precisa, non rappresenta un difetto della natura, ma una risposta di adattamento biologica ad una situazione percepita come straordinaria. (…) Le cinque leggi biologiche scoperte dal dottor Hamer si rivelano pertanto un modello psiconeurobiologico estremamente utile non soltanto per colmare le numerose lacune della medicina accademica, ma anche nell’approcciare il paziente in maniera personalizzata. E’ dunque una medicina centrata sul paziente”. Ma c’è dell’altro: Toneguzzi nel 2009 è stato rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio colposo e truffa ai danni di Manuela Trevisan. Il processo è ancora in corso. Secondo la ricostruzione della sorella della vittima, che ha querelato Toneguzzi, Manuela sarebbe stata convinta dal medico a rinunciare alla chemioterapia e all’iter terapeutico tradizionale e a seguire cure legate alla Nuova medicina germanica. Le motivazioni addotte dallo psichiatra, così come riferiscono il Messaggero Veneto e Il Gazzettino, erano di questo tenore: “i tumori non esistono, fumare non fa male, mangiare un dolce avrebbe potuto essere d’aiuto ai malati terminali, mangiare un budino può aiutare anche a guarire una malattia terminale di cancro”.


Durante la trasmissione, la mamma di Manuela racconta gli ultimi giorni di vita della figlia, che, seguita da Toneguzzi, ha sempre pervicacemente rifiutato di sottoporsi alla chemioterapia, perchè, secondo il verbo di Hamer, “il 98% delle persone che si sottopongono alla chemio muoiono poco dopo”. Soltanto quando era in fin di vita, lo psichiatra le ha concesso di fare una seduta. Ma ormai era troppo tardi. Scilipoti, con una incredibile arrampicata sugli specchi, tenta di svicolare alle domande precise di Edoardo Camurri (perchè ha invitato Toneguzzi al convegno alla Camera?”) e del giornalista Ilario D’Amato, autore del sito Dossier Hamer e appellato dal deputato con un elegante “come si chiama lei”. E, come è nel suo conclamato stile, sbraita, urla, vanta la sua sapienza scientifica in un italiano maccheronico (“in questa sala che lei mi ha invitato…”, “lei conosce di quello che parlo”, frasi che evocano i famosi “300 dii” del suo show alla Zanzara).  Scilipoti pronuncia anche qualche bugia grossolana, quando rimprovera Camurri per aver definito ”convegno” il suo simposio sulla medicina olistica del mese scorso. Scilipoti lo bacchetta polemicamente, dandogli dell’incompetente perchè in realtà quella del 15 aprile era una “conferenza”. Eppure sul sito del Movimento di Responsabilità Nazionale la connotazione dell’evento è chiara: trattasi proprio di un “convegno” ( http://www.mrnonline.it/?p=402). Qualche secondo dopo, Scilipoti si rimangia la parola e, durante il suo delirio, gli sfugge la parola “convegno”. In definitiva, si scatena un diverbio accesissimo tra il deputato “responsabile” e il conduttore, omaggiato con svariati improperi ripetuti fino allo sfinimento (“lei si deve vergognare”, “lei è un mascalzone”, “lei sta strumentalizzando”). E non basta una voce implorante dal pubblico che grida “buoni” a placare la bagarre.
Da "http://www.ilfattoquotidiano.it"

domenica 1 maggio 2011

Varie ed eventuali

Il titolo allude a una pluralità di temi in progress. Saranno cenni più o meno estesi o lapidari, ma senza impegni verso la complessità e autorevolezza di questo o di quello. E pure un’escursione aperta al progredire dei giorni e delle occasioni: dalle più drammatiche alle più grottesche. Come suole inzepparsi la Vita nella varietà sbracata della sua indifferenza per piaceri e dolori della carne animata. Compresa la più fragorosa e contraddittoria delle sue infinite avatar e varietà: homo sapiens di straripante destino.        
Cialtroneria senza confini. Dal Corriere della sera del 19 aprile 2011. Il Colle e i manifesti antitoghe: offesa alla memoria di chi morì. Il capo dello Stato celebra le vittime del terrorismo: no a ignobili provocazioni. La fascetta azzurro ultrapallido reca “i numeri del terrore 378 le vittime delle stragi e degli attentati per terrorismo in Italia dal 1967 al 2003”. Una grande foto a colori mostra Napolitano fra i magistrati Vitaliano Esposito ed Ernesto Lupo. Dietro di lui, politici e ministri, tra cui il titolare della Giustizia, Angelino Alfano, a bocca semi-aperta sotto sopracciglia mezzo aggrottati a interrogativa perplessità. Sul lato destro, incorniciata di rosso, scende una colonna con le foto dei 10 magistrati assassinati dalle Br e da altre sigle del terrorismo politico. Riproduciamo qui le notizie su ciascuno di loro. I magistrati uccisi. Emilio Alessandrini Sostituto procuratore a Milano, ucciso a Milano da Prima Linea il 29 gennaio 1979. Aveva 36 anni. Mario Amato Sostituto procuratore della Repubblica a Roma, ucciso a Roma il 23 giugno 1980 dai Nar. Aveva 42 anni. Fedele Calvosa Procuratore di Frosinone, ucciso a Patrica dalle Formazioni comuniste combattenti, l’8 novembre 1978. Aveva 59 anni. Francesco Coco Procuratore generale della Repubblica a Genova, ucciso a Genova dalle Brigate rosse l’8 giugno 1976. Aveva 67 anni. Guido Galli Giudice istruttore a Milano, ucciso a Milano da Prima linea il 19 marzo 1980. Aveva 47 anni. Nicola Giacumbi procuratore capo della Repubblica a Salerno, ucciso a Salerno il 12 marzo 1980. Aveva 51 anni. Girolamo Minervini direttore generale degli Istituti di prevenzione e pena, ucciso a Roma il 18 marzo 1980. Aveva 61 anni. Vittorio Occorsio Sostituto procuratore a Roma, ucciso a Roma da Ordine nuovo il 10 luglio 1976. Aveva 47 anni. Riccardo Palma Capo dell’ufficio VIII della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, ucciso a Roma dalle Br il 14 febbraio 1978. Aveva 62 anni. Girolamo Tartaglione. Direttore generale degli Affari penali, ucciso a Roma dalle Br il 10 ottobre 1978. Aveva 67 anni. L’elenco vuol essere soltanto un modesto aiuto per misurare il livello di cialtroneria nichilistica degli squallidi figuri che hanno voluto i famigerati manifesti con la scritta Via le Br dalle procure. Un evento, per quei responsabili, già “storicizzato”, cioè superato, macinato dal rullo compressore di Saturno divoratore dei suoi figli, buoni e cattivi, di carne o di inchiostro e carta. Ma per chi ha sensibilità verso le instancabili cronache di quel tale livello quel segnale repellente è un evento ancora palpitante  di attualità. E di monito. Il che sia detto con la ferma convinzione che niente e nessuno sia mitizzabile, né categorie professionali, né schieramenti politici, né ceti sociali: l’empireo della perfezione è troppo alto per le qualità umane. Ma vi si accostano pur sempre certi individui ben dotati dalla madre-matrigna leopardiana, la Natura bizzosa e imprevedibile. Abbiamo conosciuto giudici coraggiosi e competenti, ma anche giudici vili e corrotti. Idem per gli avvocati, un genere troppo popolato perché sia possibile imbattersi, non dico sempre ma soltanto spesso, in campioni di competenza e lealtà (ancora più raro l’incontro possibile con soggetti interni indifferenti alle sirene di Mammona). Stessa parcellarità nel mio campo di lavoro: docenti preparati e operosi, e altri ignoranti e pigri. Insomma, in ogni categoria antropologica (prima che sociale e professionale) i buoni sono sempre minoranze. Ma proprio questa rarità del buono impone alle sensibilità vibratili il rispetto che meritano le sue incarnazioni. Specie se quel buono è stato sacralizzato dalla morte violenta provocata dal personale ben fare.  
Un martire per la verità. Il giorno dopo l’uccisione di Vittorio Arrigoni, il giovane italiano amico dei palestinesi, per mano di estremisti staccatisi da Hamas, i cosiddetti salafiti, i giornali italiani dedicarono articoli di commosso cordoglio e indignazione per lo sconcio crimine. Ma alcuni di essi badarono a riequilibrare la commozione con interi scritti autonimi o con parte dei necrologi routinari sottolineando la presunta “scelta sbagliata” di quel tesoro di giovane. Tra questi, il Corsera, dove il riflesso condizionato del culto assoluto (“senza se e senza ma”) per l’Israele sempre innocente (e vittima elettiva dei vari cattivi del pianeta) suggerisce a Pier Luigi Battista un sospiro per quell’anima bella persa dentro una “scelta sbagliata”. Insomma, ancora una volta i devoti di Santo Israele hanno recitato la stucchevole litania del suo diritto all’autodifesa. Rovistando fra vecchi giornali mi imbatto sul Corsera, del 2 marzo 2008, la cui prima pagina onora con un grosso titolo centrale l’ennesimo scempio israeliano sui palestinesi della martoriata Striscia di Gaza, giusto il territorio dove operava il giovane sacrificato da quel coagulo di fanatismi. Nel nostro piccolo, ci siamo occupati più volte di quel contenzioso, e qualche nostro scritto è in rete, a testimonianza (ahimè, vana) di una tragica verità ignorata dagli “amici d’Israele”. Dove non mancano, s’intende, le persone oneste (specie fra intellettuali e narratori), ma dove, tuttavia, e purtroppo, prevalgono i devoti di Marte, usi a rispondere con lancio di missili sbarazzini alle, di solito, innocue bravate di Hamas (più frustrata che altro). Ma dove, soprattutto, ha molta influenza la componente ultra-ortodossa dei credenti: gente capace di provocare un conflitto nucleare pur di non restituire i territori occupati nella famosa “Guerra dei sei giorni” del 1967, con la strepitosa vittoria (e annesso proditorio attacco a sorpresa) contro la coalizione degli Stati arabi. Territori dei quali fa parte la Striscia di Gaza, che l’ex premier Ariel Sharon aveva restituito ai palestinesi, con grande irritazione dei suoi connazionali da più anni insediati in quel territorio. Purtroppo, quel premier è stato colpito da un male che lo ha inchiodato all’immobilità fisica e mentale. E taluno pensa a un intervento di Geova per punire il reprobo dimentico della biblica Promessa fatta ad Abramo dal Boss dei cieli. Ma qualche altro sospetta iniziative di un rancore “umano troppo umano”. Ora Gaza è sotto “tutela” israeliana: come un campo di concentramento, poco meno rigoroso. Controlli, limitazioni di ogni genere, garantiscono la sofferenza di tutta la popolazione. Il giovane Arrigoni vedeva questo insulto alla giustizia e s’era schierato con le vittime. Un grave peccato, per i fanatici di, e pro, Israele. A conclusione del “titolo” si legga questa aritmetica storico-provvisoria: “In sei anni dall’inizio della seconda Intifada (settembre 2000) il bilancio delle vittime è: 6 israeliani morti a causa dei razzi sparati dai palestinesi, 4500 palestinesi uccisi dall’esercito israeliano” (fonte: "Le Monde Diplomatique”)
         Notizie dal delirio quotidiano.     I ribelli intimano a Gheddafi di andarsene subito. Titolo del Corsera del 9 marzo. Un detto che riletto a 50 giorni della sua apparizione emana odore di comicità involontaria. Tanto più che le notizie dello scontro erano (e in parte sono) tutt’altro che favorevoli ai rivoltosi. La risposta del Raìs viene definita “secca” dal giornale, ma ha tutta l’aria di essere sfottente e divertita: “Ma quale ultimatum? Io non lascerò mai la Libia”(catenaccio). A conferma dell’intenzione, un altro titolo sotto l’“insegna” recita: “offensiva governativa: Zawiya ridotta “in cenere”, nuovi raid aerei su Ras Lanuf. Il giorno prima lo stesso giornale dava questa notizia: A Ras Lanuf, sotto le bombe di Gheddafi. Pesante raid aereo sopra l’avamposto dei ribelli. Ancora in questa fine di aprile Gheddafi è più vivo che mai, e fa anche auto-esposizioni al pubblico (compresa qualche passeggiata) a sfida dei suoi nemici moralisti al missile e ai dromi Usa. Nel cuore largo di quel delirio conserva un posticino di tutto rispetto il “battibecco” intercorso tra Gheddafi e Bossi: il Raìs consigliava a Francia e Italia di occuparsi piuttosto della Lega che della Libia. Siamo nella prima settimana di marzo: io, dice il dux libico, alla Tv France 24, “non sono intervenuto in Italia per favorire la secessione, come chiese Bossi, perché era illegale”. Intervistato, l’Umberto nazionale s’inalbera (e smarrona): “Ma vi pare? Abbiamo tantissimi uomini e le armi le facciamo in Lombardia”. Sic et simpliciter. Una sortita che aveva la potenzialità di uno sviluppo polemico vasto e duro, ma che, forse perché maiora premunt, si è lasciata cadere dopo un paio di proteste ritualmente sterili. Anche Bossi liquida disinvoltamente il lider maximo libico: “Gheddafi è un gatto che sta affogando e che si arrampica sui vetri”. Dà pure una pennellata storica al suo fiuto: “La storia insegna che chi spara sulla sua gente finisce male”. E cita la buonanima di Umberto I. Né manca di senso pratico, il lumbard: fin da quei giorni di crisi libica si dichiarò contrario ad ogni intervento armato: “allora sì che scapperebbero tutti da noi. Vanno aiutati lì, con viveri e medicinali”. Perché in Italia “non c’è trippa per gatti”, ammonisce. E chi l’avrebbe detto che, oggi, il più serio contrasto fra gli alleati di ferro Berlusconi e Bossi sarebbe dipeso dall’impegno del nostro governo a bombardare la Libia? E ha un bell’affannarsi il Berlù a distinguere e imbrogliare sugli obiettivi da colpire: Bossi è più che mai contrario a questo impegno e lo scricchiolio del patto binario gracida ancora mentre ne scriviamo in ansia. O meglio, gracidava: oggi è un altro giorno (29 aprile). Il giorno delle ipocrisie saldatrici: la titolazione del Corsera degli ultimi tre giorni sul tema cantano, in successione, questi motivetti: 27 aprile, Libia, governo sotto pressione (titolo) Vertice Berlusconi-Sarkozy: patto per chiedere la modifica di Schenken sugli immigrati(occhiello) Via libera di Napolitano. L’ira di Bossi: noi colonia di Parigi (catenaccio). 28 aprile. La Lega sfida il premier sulla Libia  (ti.) Maggioranza nel caos. Consiglio dei ministri rinviato: ma il Cavaliere: indietro non si torna (oc.) Maroni incontra Bossi e chiede il voto in Parlamento( cat.). 29 aprile. Bossi: non voglio far saltare il governo(ti.) Berlusconi al Quirinale dopo le fibrillazioni nella maggioranza: il Cavaliere: non m i sono inginocchiato ai francesi (oc.) Prima missione armata dei caccia italiani. Napolitano: sulla Libia scelte coerenti (cat.). Insomma, una tempesta in un catino pieno d’acqua. A sentire l’arrochito leader leghista era accaduto uno scandalo da rottura: e qualche ingenuo oppositore ci aveva sperato. Ma è bastata la solita recita del Berlù per riportare nei box i carri armati bossiani: Il premier: ho sbagliato con Umberto. Dovevo avvertirlo (il compito di ricamare sul ravvedimento puttanesco è toccato a Marco Galluzzo, che esperienza settoriale ne ha da vendere. Anche se… Ma lasciamo ad altra occasione il mini-commento tentatore. Qui basti ricordare che Bossi è un giocatore furbo, e non si lascia “giocare”. Resta il fatto che sulla Libia ha ragione: è stato l’ennesimo errore di valutazione. Purtroppo cruento fino all’immolazione di ignari civili di varie età.
         Altri suoni dal delirio  Il primatista di tutti gli inganni, insomma il premier, ha tirato fuori un altro (presunto) asso dalla manica: il nucleare. Tema che scotta perfino i tasti del computer, ma non riesce a scavare nel neopallio del cerebro di troppi funesti figuri della politica e delle varie sezioni dell’industria competente. Abbiamo avuto Chernobyl, abbiamo sotto gli occhi Tusushma, sappiamo di passati incidenti negli Usa, eppure ci si incanta ancora nel delirio del guadagno dalle molte teste. Ieri sera ad Annozero si è toccato il vertice del delirio quando ha parlato un professore universitario del ramo che ha negato ogni pericolo, e perfino le vittime del disastro sovietico! Tutti i devoti del dio atomo insistono sulla sicurezza garantita dai nuovi modelli degli impianti. Questi figli di buona donna scommettono anche sul controllo possibile dell’incontrollabile, sua maestà la crudele e beffarda Natura, ricca di seduzioni quanto di sismi catastrofici, tsunami, cicloni e altro bene dell’apocalissi. Davvero ci deve essere nel fondo più buio della fisiologia umana un impulso all’autodistruzione pantoclastica. Ad maiora.
Pasquale Licciardello